-Non ti avrei mai amato, se in te non ci fosse stato qualcosa di imperfetto, non amo le persone impeccabili, quelle che non sono mai cadute. La loro è una virtù spenta.
Olivia chiuse il diario su cui annotava i suoi pensieri, abbandonandolo poi sullo scrittoio.
Vi era solo il silenzio intorno a lei e aveva degli occhi profondamente tristi.
E poi vi era la notte e la sete: sete di vita.
Lo conobbe in primavera quando la natura si stava risvegliando come si risvegliava lei con ogni tramonto: bramando di perdere il controllo, di buttar via anima e ardore, di superare il limite.
“La sentite?” mormorò qualcuno alle sue spalle.
“Chi sei? E Cosa dovrei sentire?” Olivia si volse, lo sguardo saettò a cercare quello dell’uomo che parlava, che era chiaro quanto il suo.
“L’odore dei fiori di pesco” lui sorrise aggirando la panca in una lenta e quasi teatrale camminata.
“Ma qui non vi sono alberi di pesco” ribatté Olivia inarcando le fini sopracciglia, un uomo senza dubbio strano, tanto quanto armonicamente bello.
“Oh lo so, ma se si sa ascoltare il vento ci può condurre ogni profumo” ribatté lui.
“Non sento nulla” ammise, già rapita, mentre il vestito leggero e chiaro si snodava al vento insieme ai suoi lunghi capelli rossi carminio a cavatappi.
“Non così” disse lui scuotendo il capo. “Voi tentate di sentir ciò ch’io vi narro con questo” sfiorò il piccolo naso all’insù di lei con l’indice freddo. ”Ma è lì dentro che dovete cercar i profumi Milady” indicò quindi il suo cuore.
E lei tra merletti e pizzi, stretta in pregiate stoffe, si trovò perduta a osservar lo sguardo di colui che le stava accanto, cercando persino di seguirne le istruzioni.
E lei tra profumi e caldure s’innamorò.
Un lampo fuori dalla grande finestra e poi un tuono, e il pennino che in bella grafia tracciava pensieri.
-Ti amavo semplicemente perché eri tu, il ragazzo che mi ha insegnato a sentir il profumo dei fiori di pesco, che mi ha insegnato ad amar la vita e poi me l’ha strappata via per sempre.
Ti ho donato il mio corpo e la mia anima, in un patto eterno suggellato dalla vita che porto in grembo.
Olivia si posò una mano sul ventre tondo, pulsante di dolorosa vita. Poi i mesi si susseguirono, feroci e lesti come i fulmini di quel temporale che terminò con un meraviglioso arcobaleno di nome Alyssa, che una in una notte venne semplicemente data alla vita.
-Mi ricordo quando mi parlavi di te e in te io rivedevo me stessa, eri gettato in una vita che non ti apparteneva, quando invece tu volevi solo sentir l’odore dei fiori di pesco.
Lo ricordo perfettamente perché con te ho pianto.
Lo ricordo mentre guardo il volto di nostra figlia, che è identico al tuo di luna, lei che ha sete di vita, almeno quanta ne avevi tu.
I mesi passarono e i ricordi sbiadendo si mischiarono come carte dello stesso seme che si clonavano ancora e ancora, sinché una notte lui tornò.
-Non ti avrei mai amato se fossi stato come tutti gli altri, non avrei potuto, io amo l’imperfezione; eppur tu mi hai portato con te in maniera così perfetta e sadica.
Hai lasciato nostra figlia sola e hai condannato me a morire ogni notte della vita che tu hai scelto per me, tu che ora giaci senza testa sul tappeto della mia camera da letto, quella dove Alyssa è stata concepita, quella che ti aspettava.
Tu mi hai insegnato a uccidere e così è stato, ho ucciso l’unica persona da cui avrei potuto cominciare, in questa mia eternità di pene da scontare.
Ma ora devo andare.
Lascio il tuo corpo straziato e perfetto, mentre gronda sangue del quale il mio tappeto s’impregna.
Sei così bello anche nella morte.
Me ne vado adesso, che finalmente sento il profumo dei fiori di pesco.
Olivia uscì così di scena, nel cuore della notte, lasciando in regalo alla figlia il corpo di uno sconosciuto, ormai morto.
Alyssa compiva undici anni quel giorno; e non appena il sangue le macchiò i piccoli piedini s’incamminò cauta verso lo scrittoio, ove sedette, per poi aprire il taccuino materno, sul quale cominciò a scrivere qualcosa:
-Questa è la storia di Olivia, mia madre…